Intervista ad Angelo Petrella

Nome: Angelo
Cognome: Petrella
Ultimo lavoro: Le api randage
www.angelopetrella.it

Ciao Angelo, fai pure come se “VareseNoir” fosse casa tua.

Grazie, molto gentile. Prendo una birra dal frigo e sono da te.

Hai carta bianca: descriviti come preferisci.

Sono uno che ha fatto sei traslochi in cinque anni. E ciò nonostante Equitalia continua a perseguitarmi… La parte più difficile è spostare tutti i libri ogni volta. Mi piace molto frequentare i bar di provincia, quelli che chiudono molto tardi ma dove non c’è mai nessuno. Da lontano posso sembrare qualsiasi cosa: da vicino, non si direbbe che adori Kafka e Dostoevskij.

Ti va di raccontarci il tuo ultimo lavoro?

Si intitola Le Api Randage ed è dal 24 maggio in libreria per Garzanti. E’ la storia dell’impossibilità di trovare una vera famiglia: una storia di padri e figli, di ossessioni e rimorsi, di vendette e incontri. Ma è anche il racconto della caduta di un gruppo di industriali nella Napoli di Tangentopoli. 1992, venti anni fa, eppure sembra oggi… Tutto nacque da una rilettura dell’Orestea di qualche anno fa: i personaggi si muovono come “api randage”, come insetti che non esistono in natura. Perché un’ape muore in due casi: quando perde il pungiglione o quando abbandona il proprio sciame. In questo senso il sottofondo del romanzo – dietro la suspense e oltre le vite dei protagonisti – è un’allegoria della nostra società impazzita, in cui non riusciamo a riconoscerci ma di cui non possiamo fare a meno. O forse è l’allegoria del nostro sistema, il capitalismo, i cui protagonisti si illudono di poter dominare e da cui vengono invece fagocitati. Ritrovandosi appunto senza alveare, senza sciame: esposti al mondo e alle intemperie.

Quando hai iniziato a scrivere, sapevi già che – prima o poi – ti saresti imbattuto in un romanzo come questo?

No. Però dentro c’è molto del mio vissuto: l’alta borghesia napoletana, il quartiere di Posillipo, le famiglie lacerate. E’ lì che sono nato e cresciuto. Quindi forse sì…

Hai mai ballato sotto la pioggia?

Nudo.

Esiste un libro che avresti voluto scrivere tu?

E certo! Titoli? “Il Processo”, “I fratelli Karamazov”, “Glamorama”, “Il giardino dei Finzi Contini”, “Horcynus Orca”, “American Tabloid”…

La tua canzone preferita è…?

In questo periodo sto riascoltando spesso “Blister in the sun” dei Violent Femmes. E anche “Blue train” di John Coltrane.

Che rapporto hai con la televisione?

Adoro alcune serie tv, nel novanta percento dei casi trasmesse sul satellite. I talk-show ormai mi stancano. L’unica cosa che guardo oltre ai serial sono le partite. Del Napoli, ovviamente…

E con il cinema?

Ci vado ogni volta che posso.

Hai mai parlato al telefono per più di due ore?

Sì, ma mi ci hanno costretto. Detesto il telefono.

Ti piacciono i proverbi? Ne usi uno più spesso?

‘O cane mozzeca sempe ‘o stracciato. (“Il cane morde sempre l’indifeso”).

Hai tre righe per dire quello che vuoi a chi vuoi tu. Ti va di usarle?

Cara Penelope Cruz, volevo dirti che se passi qui dalle parti di Marano di Napoli (non venire dal centro, che è un casino; esci dall’auostrada e poi prosegui per l’Asse Mediano, fino all’altezza di Auchan: poi ti basta risalire da Qualiano e sei arrivata) sei la benvenuta. Posso portarti alla pizzeria “da Patrizia”, dove sono anche amici e si paga poco, o se preferisci andare direttamente al cinema… Vabbè ma hai ragione, al cinema ci stai sempre, magari ti scocci. In ogni caso per favore scrivimi in privato su Facebook e non mandarmi sms, perché mia moglie è gelosissima e mi tiene il telefono sotto controllo. Già che ci sei, mi porti su una copia dell’Espresso, per favore?

Ti sei mai rapato i capelli a zero?

Li porto sempre così. Viceversa, mai riuscito a farli crescere più di quattro centimetri…

Se potessi cambiare una cosa (ma una soltanto) del tuo ultimo lavoro, che cosa sceglieresti? Il titolo? L’immagine di copertina? Altro?

Il nome dell’autore… Avrei preferito una roba tipo: Johnny Petrella o magari Collettivo Maradona.

Quando scrivi, hai un lettore di riferimento oppure scrivi solo per te stesso?

Cerco di scrivere ciò che mi piacerebbe leggere. Ma non sempre sono sicuro di riuscirci.

Tra due ore si parte per un viaggio su Marte: scegli tre oggetti da portare con te e un aggettivo per descrivere l’umanità ai marziani.

Gli occhiali. Un’edizione microscopica della Divina Commedia e una bottiglia di J&B (o in alternativa lo spray per l’asma). E mi presenterei dicendo “In fondo, siete meno brutti che in Independence day“.

E l’aggettivo?

Ci penso bene e tra qualche giorno di mando un fax.

La cosa che più ti annoia, quella che più ti diverte e quella che più non sopporti.

Mi annoia “Ballando sotto le stelle”. Mi diverte andare con mia figlia alle giostre. Non sopporto la gente che sputa sui passanti al volo dalla macchina.

Stai già lavorando al tuo prossimo libro? Se sì, ci regali un’anticipazione?

Non ancora. Ma facciamo così: appena inizio a scriverlo organizziamo un’altra intervista.

Ci sto.

Perfetto.

Prima di salutarci, l’ultima domanda è tua. Chiediti quello che vuoi, ma ricorda anche di risponderti.

Se vincessi il Premio Strega, avresti il coraggio di andare da Marzullo?

Non vincerò mai il Premio Strega.

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