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Lettere al serial killer: monumenti e paracarri

Lillipuziano Greg,

la carriera criminale di John Dillinger, confrontata alle tue scappatelle omicide perpetrate ai danni del gentil sesso, è un po’ come un monumento confrontato con un paracarro.

Quando il vecchio John ci rimise le cuoia, tutta Chicago si levò il cappello.

E tu, microbo di un guascone, cosa cavolo stavi facendo, quel 22 luglio del 1934, Greg Groggy Iron perditempo… lassù, in un coacervo di nuvolaglia plumbea, a chiedere passaggi a cicogne che ti ignoravano. Il sublime spietato, insieme alla sua banda, una scheggia inviata dall’Inferno.

Morti ammazzati, pletore di feriti, nugoli di banche rapinate e svuotate come si deve, arsenali della polizia saccheggiati,evasioni spericolate con tanto di sceriffi fatti secchi.

Il leggendario Dillinger e le sue scie di sangue. Un criminale gentiluomo. E tu Greg, laido violentatore, vigliacchetto squinternato da quartiere scassato, piffero di periferia. Pifferiferia, il tuo quartier generale. L’immenso Dillinger si rivolgeva ai cassieri dicendo cortesemente “Please”. E la sua uscita dal carcere di Crown Point nell’Indiana, quando riuscì a recuperare un blocchetto di legno per sbozzarlo perché assomigliasse a una pistola?

Greg miserabile e misurabile, non gli arrivi ai talloni.

Quando fu intercettato dagli agenti, John estrasse la sua calibro 38, ma prima di sparare volle sorridere loro in faccia. Una cortesia che gli costò quattro pallottole, tre al torace ed una che gli entrò dalla nuca. La nuca di un Duca. Eccoti servito, moschino di un Greg.

Benjamin Stimming,un tuo non estimatore

 

Patetico Stimming (Puah),

quando mi capiterà di incrociarti, e mi capiterà, vedrò di rifilarti quattro pallottole. Tre al torace ed una nella chiappa destra. La chiappa di una Schiappa.

Greg Groggy Iron, un tuo molestatore

 

Questa rubrica è ideata e curata da Carlo Cavalli. Nel caso, prendetevela con lui.

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Lettere al serial killer: una gita al museo

Eclettico Greg,

al ritorno dal mio viaggio a Parigi desidero raccontarti della visita al Museo Orsay dove mi sono gustato una deliziosa marmellata di opere appartenenti al periodo che va dal 1848 al 1914.

Il reggiseno di Janette, la mia guida dedicata e delicata, andava invece da una sesta a una settima, sforzandosi di contenere la dovizia di materia prima, mentre lei si infervorava nella apologia de “La sorgente”, dove quel diavolaccio di Dominique Ingres ha pennellato un nudo femminile da turbamento, con l’acqua che scorre canterina dalla brocca e con le tettine della fanciulla a sussurrarti l’imperativo categorico del Carpe Diem.

Il profumo di Janette ricordava l’oppiaceo gelsomino quando incalza la cautela delle narici e lei parlava, parlava e riparlava, di Realismo e di Impressionismo, di Naturalismo e di Simbolismo mentre io mi riempivo di Fanatismo, ipnotizzato dalle sue chiappe serrate dall’estasi descrittiva davanti all’Autoritratto di Van Gogh.

Ed io a sbranarla di desiderio, percosso dai Gong della voglia matta.

Le sue gambe perfette menavano il mio corpaccione a destra e a manca, da La Galerie dei Hauteurs alla Sala delle Feste. L’ equilibrio si è rotto, facendo ” Crock” dentro il mio cervello, davanti alla donna ignuda ne “La tinozza” di Degas.

Quella spugnetta sulla nuca a percorrere un corpo che disegna una sorta di O, di mille, un milione di O, “Oooooooooo”.

Allora le ho detto che la testa mi ribolliva, mi martellava in una sensazione di dolore incontrollato. L’ho pregata di accelerare, di glissare Pissarro e Caillebotte, di tralasciare le bagnanti intriganti.

“Janette, la supplico, mi riaccompagni all’albergo”, ho alla fine squittito , sedotto ed infoiato. L’Orsay, caro Greg, è uno scrigno di capolavori. Tutto qui. Volevo parlarti d’Arte e non di arti. Quelli di Janette, sistemati dentro un montacarichi, al nono piano di un 5 stelle.

Nella camera 1048 ho ripulito ogni cosa con meticolosa cura. Non è rimasto un grumo di colore della mia tela. Le parti sezionate di Janette avevano l’iridescenza dell’incarnato velato di blu. “Studio, busto, effetto di sole” del maestro Renoir.

Tuo Kon Jerfal

Ispirato Kon,

la tua lettera mi ha quasi commosso, nel trasporto della narrazione.

Mi sovviene un quadro di Gauguin, Donne di Thaiti. Due ragazze sulla spiaggia. Quella sulla destra, di rosa vestita, uguale spaccata a Tahimira. Già, Tahimira. Quasi mi pento di averla spaccata.

Greg

Questa rubrica è ideata e curata da Carlo Cavalli. Nel caso, prendetevela con lui.

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Lettere al serial killer: senape e tapiri

Scriteriato Greg,

mi sono follemente innamorato di Momona Jeefy, una stupenda ragazza che coordina una piccola biblioteca zoofila per tapiri.

Non è che di tapiri lettori ce ne siano poi tanti, ma ne circolano quanto basta per permettere a Momona di guadagnare onestamente trecento dollari al mese. Oltretutto il tapiro non sporca, mentre legge.

Il corpo di Momona è carnoso e morbido come un fiore di senape.

La sua pelle è chiara e diafana come il loto giallo, quando lo spalmi con un velo sottile di maionese. I suoi occhi sono vivaci e verecondi come quelli di una cerbiatta in casseruola. Il suo naso sembra una patatina del Vermont, lessata con delicatezza. Il suo collo disegna una linea flessuosa che rammenta la conchiglia a spirale, ovviamente abbinata ad una vasta serie di frutti di mare.

Il suo ombelico è così ricco di afrore da suggerire la carne secca di zio Timmy, quando lo zio ancora essiccava la carne messicana, con i vapori del semicupio. E, appena sotto l’ombelico di Momona, profuma un giglio sempre aperto, sempre aperto come il pub del vecchio Edherer, prima che lo sfigato rimanesse schiacciato sotto un bancale di fusti di birra.

La vita di Momona è snella come quella del leone, dimagrito dopo le venticinque miglia di inseguimento alla stramba gazzella. La voce di Momona è musicale e delicata come il gorgheggio dell’uccello Kokila, quando lo contorni di rape e di fagioli.

Caro Greg, mi sono irrefrenabilmente innamorato di Jeefy la bibliotecaria.

E se ieri sera l’ho mangiata, l’ho fatto per puro disinteressato affetto, per smisurato senso di tenerezza, per indicibile istinto di possessiva protezione. Il pallore cadaverico di Momona, dopo la cottura, mi ha imprigionato come un
servo nella gabbia dei raggi di luna.

Raf Cashfender

Goloso ed insolente Raf,

l’antropofagia è una lodevole inclinazione. Ma bisogna saperla ben interpretare. Per non sconfinare nella volgare aerofagia.

Resta un fatto: persa Momona, ti rimangono i tapiri. E un tapiro sospira e singhiozza senza motivo, durante la cottura. Sino ad insolentirti, a mandarti in momona.

Greg

Questa rubrica è ideata e curata da Carlo Cavalli. Nel caso, prendetevela con lui.

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Lettere al serial killer: nomi e presagi

Indulgente Greg,

quando nacqui, quella maledetta giornata del 21 gennaio 1961, nello stramaledetto reparto di natalità dell’ Ospedale di una inutile cittadina del Kansas, ai miei due genitori sfavillò un’idea da tagliar loro la gola: quella di chiamarmi Abominevole Budturner.

Fossi stato il diciassettesimo di un esasperante filotto di maschi e femmine… Manco per le palle degli istrici della fattoria dei Clutter. Ero, e tuttora rimango, il loro unico figlio.

L’unico adorato viziato e vezzeggiato Abominevole degli States , che a mamma e babbo si svitino le rotule delle ginocchia, sfilettandosi con tutti i contorcimenti del Creato. Ancora oggi non riesco a comprendere il “Presagio” che li indusse a tatuarmi addosso la merdaccia di epiteto che precede il mio bel cognome.

Papà, prima che gli divaricassi lo sterno con un apriscatole della fallita Ditta Ciclope, farfugliò che Abominevole non doveva intendersi solo l’ipotetico uomo delle nevi, ma piuttosto ciò che potrebbe ledere un’armonia, per restituirne una maggiore, grazie all’antitesi.

Il “Presagio” non sempre garantisce sacralità allo sterno.

Mia madre, un attimo dopo che le liberai l’avambraccio dal forno messo a 220 gradi, ammise, mordicchiandosi le labbra che le avevo spalmato con buona polpa d’ortica, di non aver mai digerito il mio sesso. Un maschio, secondo lei, era causa di sfortuna, di catastrofi e di carestie. Una maschio era un ammasso di scorie e di rifiuti, una snaturata emissione di gas nocivi, una certezza di inquinamento elettromagnetico.

A quel punto, preso atto delle sue esternazioni, la compressi per benino, riposizionandola interamente nel forno, a 240 gradi. Non si sa mai.

Grato per la tua risposta,

Abominevole Budturner

 

Pregevole Abominevole,

l’interpretazione errata dei presagi porta spesso ad ingannare se stessi e gli altri, conducendo alla follia.

Non trovo comunque il tuo nome così sgradito o sconveniente, neppure nel tuo stato di orfano.

Su con la vita.

E se sarà un maschio, chiamalo Detestabile.

Le tradizioni di famiglia vanno pervicacemente rispettate.

Greg

 

Questa rubrica è ideata e curata da Carlo Cavalli. Nel caso, prendetevela con lui.

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