Intervista a Ugo Mazzotta

Nome: Ugo
Cognome: Mazzotta
www.ugomazzotta.com
Ultimo lavoro: Merce di scambio

Ciao Ugo, benvenuto nel salotto di VareseNoir. Mettiti comodo. Come credo sia giusto, hai carta bianca per descriverti come preferisci.

Non sono bravo a raccontarmi (il che spiega tante cose). Per usare le parole di un poeta, “c’è voluto del talento per riuscire a invecchiare senza diventare adulti”.

Ti va di raccontarci il tuo ultimo lavoro?

È una storia molto diversa dalle mie precedenti. Non c’è da trovare un colpevole, ci sono indagini ma non è un whodunit. È la storia di un ragazzino sequestrato perché i genitori hanno frequentazioni pericolose e di una coppia di poliziotte che cercano di trovarlo senza poter contare sull’aiuto di nessuno, nemmeno dei genitori stessi. Una storia di banalissima malvagità, raccontata con un ritmo più nervoso di quanto non sia solito fare nei miei romanzi.

Quando hai iniziato a scrivere, sapevi già che – prima o poi – ti saresti imbattuto in un romanzo come questo?

Quando ho iniziato a scrivere, dieci anni fa, non sapevo nemmeno se qualcuno avrebbe pubblicato quel mio primo romanzo; figuriamoci se immaginavo che ne avrebbero pubblicati altri cinque. E quindi tanto meno potevo prevedere che avrei potuto scrivere l’ultimo, che è diverso dai precedenti.

Hai mai ballato sotto la pioggia?

E tu hai mai danzato col diavolo nel pallido plenilunio? Citazioni a parte, sono un motociclista convinto quindi la pioggia la detesto. Quando piove andare in moto diventa un fastidio, non tanto perché ci si bagna (un motociclista serio non si bagna, è sempre vestito in modo adeguato) quanto perché guidare è più difficile, specialmente con le strade dissestate che ci ritroviamo, e l’andare in moto si riduce allo spostarsi da un punto a un altro. Quando non piove andare in moto invece è un viaggio, anche se sono gli stessi pochi chilometri che fai tutti i giorni per andare al lavoro.

Esiste un libro che avresti voluto scrivere tu?

Tutti quelli che hanno venduto più di cinquantamila copie e/o di cui sono stati venduti i diritti cinematografici. Tengo famiglia (e un mutuo da pagare).

La tua canzone preferita è…?

E come si fa? Tutte quelle dei Beatles, tantissime canzoni beat e rock dei miei tempi. Un solo titolo? Michelle.

Che rapporto hai con la televisione?

Di convivenza pacifica. Da quando esiste il digitale terrestre con i suoi vari canali tematici o quasi ho felicemente dimenticato l’esistenza dei canali cosiddetti “generalisti”. Rai1 e Canale5 non le vedo quasi più, per intenderci. Mi piace vedere un bel film o una fiction ben fatta, e mi piace guardare lo sport.

E con il cinema?

Eh, lì è un po’ più difficile. Il cinema mi è sempre piaciuto moltissimo, ma da molti anni lo frequento poco. Un po’ perché lavoro e famiglia mi lasciano poco tempo e poche energie, un po’ perché tutte le volte che ci sono andato ultimamente sono stato colpito dalla maleducazione della gente. È diventato impossibile godersi un film senza qualcuno che ti parli vicino.

Hai mai parlato al telefono per più di due ore?

Ma nemmeno per idea! Dopo i primi due minuti divento insofferente, non so più cosa dire, non vedo l’ora che la chiamata finisca. Detesto parlare al telefono se non c’è un motivo pratico.

Ti piacciono i proverbi? Ne usi uno più spesso?

Mi piacciono poco i proverbi, i modi dire, i luoghi comuni, le banalità.

Hai tre righe per dire quello che vuoi a chi vuoi tu. Ti va di usarle?

Continuo a rubare parole altrui:

“Woman
I know you understand the little child inside the man
Please remember my life is in your hands”.

Ti sei mai rapato i capelli a zero?

Dio mio no (cit.). Alla mia età grazie al cielo ho ancora tutti i miei capelli, anche se parecchi sono grigi; mai rapato (per fortuna non ho nemmeno fatto il militare), mai portati davvero corti se non quando ero un bambino.

Se potessi cambiare una cosa (ma una soltanto) del tuo ultimo lavoro, che cosa sceglieresti? Il titolo? L’immagine di copertina? Altro?

Ehi, non è ancora nemmeno arrivato in libreria (l’uscita è prevista per il 13 novembre, n.d.r.), certamente prima o poi ci troverò qualche difettuccio ma per ora sono soddisfatto di come è venuto!

Quando scrivi, hai un lettore di riferimento oppure scrivi solo per te stesso?

Scrivo solo e assolutamente per me stesso, nessuno può leggere quello che scrivo prima che abbia finito. Scrivo cose che mi piacerebbe leggere anche nei libri degli altri, quindi il mio lettore di riferimento sono io stesso.

Tra due ore si parte per un viaggio su Marte: scegli tre oggetti da portare con te e un aggettivo per descrivere l’umanità ai marziani.

Il mio iPad, il mio iPhone, la mia moto. L’aggettivo è “sopravvalutata”.

La cosa che più ti annoia, quella che più ti diverte e quella che più non sopporti.

Mi annoia stare a sentire chi si parla addosso. Devo ricorrere a complicate tattiche per non far capire che ho il cervello altrove.
Mi divertono tante cose, spesso le più semplici. Per esempio, trovo divertente mangiare un tarallo accompagnandolo con un bicchiere di rosso.
Non sopporto proprio più, anche perché pare essere diventata merce diffusissima, l’arroganza.

Stai già lavorando alla tua prossima pubblicazione? Se sì, ci regali un’anticipazione?

Questa estate ho iniziato a scrivere il mio prossimo romanzo. È una storia col commissario Prisco, ma sarà comunque diversa dalle precedenti. Molto diversa, sotto tutti i punti di vista: nuova ambientazione, nuovi comprimari, una nuova vita per il mio personaggio.

Prima di salutarci, l’ultima domanda è tua. Chiediti quello che vuoi, ma ricorda anche di risponderti.

Perché non scrivi una bella storia truculenta con malavitosi turkmeni che fanno una strage per mezz’etto di cocaina o killer psicopatici che strappano gli arti alle vittime per farne attaccapanni? Venderebbe bene.

Perché mi interessa molto di più la cattiveria della porta accanto, banale ma in grado di infliggere dolore quanto quella di uno psicopatico. E molto più reale.

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