Lettere al serial killer: cappelli

Imprevedibile Greg,

sono un onorato venditore di cappelli, con un negozietto di pochi metri quadri in Milwakee, non lontano dal famoso ristorante ‘ Si mangia da schifo’, il locale che è stata la fortuna del mio intuitivo zio Tracy. Per prenotarti, devi telefonare almeno un mese prima. I clienti trovano la provocazione geniale, pagano novanta dollari a cranio e mangiano da schifo.

Invece io ho la maledetta sfortuna di chiamarmi Jeffrey Dahmer, omonimo del cannibale di Milwakee, noto anche per la sua stravagante abitudine di conservare genitali mummificati conservati dentro un cappello.

I miei affari vanno a rotoli.

Aspetto un consiglio,

Jeffrey Dahmer

Caro Jeffrey,

in primo luogo complimenti per il tuo importante nome. Secondo me devi subito abbassare la saracinesca del tuo negozietto di cappelli e farti assumere come cameriere da zio Tracy, al si ‘ Si mangia da schifo’.

Lui ti accoglierà a braccia aperte, soprattutto dopo che gli avrai proposto il nuovo piatto delle palle in bombetta.

I clienti apprezzeranno la provocazione. E tu sarai il degno clone del cannibale di Milwakee.

Con deferenza,

Greg

 

Questa rubrica è ideata e curata da Carlo Cavalli: nel caso, prendetevela con lui.

3 commenti

Archiviato in Lettere al serial killer

3 risposte a “Lettere al serial killer: cappelli

  1. Bonifacio.

    Le palle in bombetta sono deliziose. Appena lessate, un pelo.

  2. Connie Esofago.

    Al ‘Si mangia da schifo’ è adorabile il dessert ‘Lo sputacchio’.

  3. Freddie Carnera.

    Se c’è lo sputacchio, si mangia da schivo.

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